Alla fine l’ordinanza è arrivata. Ieri notte, a mezzanotte passata, Virginia Raggi, nella sua qualità di Sindaco della Città Metropolitana, ha emanato l’Ordinanza per riaprire la discarica di Albano Laziale per 180 giorni. Un’Ordinanza tampone: al massimo il problema si rimanda di 6 mesi. E si avvelenano i rapporti con la Provincia.
Link: Il testo dell’Ordinanza Raggi per riaprire la discarica di Albano
Il primo annuncio della volontà di Raggi di procedere a riaprire Albano era stato dato all’indomani di una delle riunioni del tavolo sull’emergenza rifiuti a Roma che si tengono con ciclica regolarità al Ministero della Transizione ecologica. Era la fine di giugno. Mercoledì, poi, durante il Consiglio straordinario sui rifiuti, il Sindaco di Roma aveva ribadito questa volontà in Aula.
Per cui, sotto a chi tocca e si riapre Albano. Pazienza per la coerenza politica. Solo a dicembre 2019 (era un altro Consiglio straordinario sui rifiuti), la posizione della Raggi era: “Roma non vuole discariche e la Città Metropolitana non vuole discariche. Lo dico ai sindaci che sono qui: non vogliamo altre discariche”. Nella seduta di mercoledì, invece, oltre a ribadire la volontà di riaprire Albano, la Raggi ha chiesto ai sindaci dell’hinterland di aiutarla a riaprire anche le altre discariche chiuse: Colleferro e Roccasecca.
Quattordici pagine di Ordinanza, una gran parte delle quali dedicate a dimostrare il diritto del Sindaco della Città Metropolitana di emanare ordinanze sulla questione rifiuti. Il fulcro di questo diritto, secondo il testo firmato dalla Raggi, è una sorta di interpretazione resa dal Ministero della Transizione ecologica (Mite) e contenuta in una risposta a un’interrogazione parlamentare in cui il Mite, con una serie di deduzioni giuridiche, ritiene che questo diritto esista. Non esattamente una botte di ferro.
Diritto ad emanare l’ordinanza a parte, i problemi sono moltissimi e sono evidenti anche nel testo della stessa Raggi.
Il primo punto riguarda l’accesso alla discarica: quella di Albano era una discarica di servizio di un TMB (impianto di trattamento meccanico biologico) di Albano, andato a fuoco nel lontano 2016 e da allora chiuso. La strada di accesso, quindi, è poco più di una carrareccia buona per un traffico a bassa intensità non certo per l’arrivo di decine di tir al giorno.
La Provincia – le cui risorse finanziarie, come la stessa Raggi ha lamentato più volte, sono praticamente inesistenti – dovrà assicurare la “sicurezza e la fluidità di circolazione” sull’Ardeatina, difficili da raggiungere senza lunghi e costosi lavori di adeguamento.
Altro punto: la Regione dovrà verificare le “condizioni tecnico-amministrative” di tutte le varie autorizzazioni della discarica alla luce anche delle varie volture dei permessi.
Ancora: uno dei problemi della discarica di Albano anche in passato era causato dalle infiltrazioni del percolato dei rifiuti in una falda acquifera. Nell’Ordinanza la Raggi dà mandato ad Arpa Lazio di monitorare per un totale di 18 mesi (i 6 dell’apertura del sito più altri 12 dopo) questo rischio.
Al netto di tutto – legittimità dell’Ordinanza, problemi ambientali, accessibilità del sito, autorizzazioni – il vero nodo è l’esiguo spazio disponibile. Lo scrive la stessa Raggi: ad Albano ci sono disponibili 87.954 metri cubi che, con le 1100 tonnellate al giorno previste, si satureranno al massimo in sei mesi. Di fatto, dopo cinque anni di nulla assoluto, passati solo a dire no a qualunque proposta, rinviando decisioni, cambiando assessori e manager, aprire Albano, ammesso che si superi il vaglio del Tar cui i sindaci dell’hinterland annunciano di ricorrere, la via d’uscita della Raggi è scaricare i rifiuti in Provincia per il tempo necessario a superare il voto.