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Stadio, il fact checking sulla proposta Calenda

Lug 7, 2021
Carlo Calenda

Che la questione Stadi di proprietà fosse nuovamente – dopo Alemanno nel 2008, Marino nel 2013, Raggi nel 2016 – materia di campagna elettorale era nella naturalità delle cose. 

Così come lo sono, nella naturalità delle cose, gli errori e le imprecisioni che candidati Sindaco e partiti politici hanno fatto, fanno e faranno sul tema, uno dei più difficili e complessi a livello tecnico per la sovrapposizione di norme nazionali, regionali, comunali, di competenze e veti incrociati e di una pluralità di soggetti chiamati a prendere decisioni in merito più quella infinita pletora di altrettanti soggetti che, pur non avendolo, cercano a tutti i costi di arrogarsi il potere di decidere. 

Della Raggi abbiamo già diffusamente parlato.

Vediamo ora cosa ha detto Carlo Calenda in un video diffuso sui propri social network.

LINK: IL VIDEO COMPLETO DELLA PROPOSTA DI CALENDA

Primo punto: almeno gli è chiaro che la scelta dell’area spetta al privato. È sicuramente un passo avanti rispetto al passato.

Il paragone con lo stadio della Juventus: Calenda afferma che ci sono voluti 4 anni per averlo. 

Fact checking: La Juventus ne ha impiegati 16, di anni, (e 9 mesi) dalla decisione (dicembre 1994) di realizzare un proprio impianto di proprietà alla partita inaugurale (11 settembre 2011; Juventus-Parma).
In mezzo a questo lungo lasso di tempo, si registrano un Protocollo di Intesa fra il Comune e la Società sportiva (18 giugno 2002, 6 anni dopo l’annuncio di Giraudo) e ben due varianti urbanistiche, una a dicembre 2002 a l’altra a dicembre 2005.
Poi, ancora, a luglio 2003 il trasferimento della proprietà del Delle Alpi dal Comune all Juventus; la Convenzione (aprile 2007) la gara d’appalto (aprile 2009); il permesso a costruire (maggio 2009), l’inizio della costruzione (luglio 2009); la fine dei lavori (agosto 2011) e, appunto, a settembre la prima gara inaugurale.
Citare solo l’ultimo miglio – dalla firma della Convenzione alla prima partita – è sbagliato perché omette tutto quello che c’è stato prima. 

Il paragone con lo Stadio del Bayern: anche qui, Calenda parla di 4 anni.

Fact checking: paragonare norme estere a quelle italiane è semplicemente una scorciatoia superficiale.

La scelta di Pietralata: Calenda sostiene che quella sia l’area migliore per livello di infrastrutture di trasporto ma che ci sono problemi urbanistici.

Fact checking: è dal 2013, quando si iniziò seriamente a parlare di aree, che Pietralata viene indicata come idonea.
Come livello di infrastrutture di mobilità pubblica e privata sicuramente lo è. E forse se la batte solo col Gazometro.
Il nodo sono i problemi urbanistici che l’hanno costantemente fatta scartare: non basta guardare una mappa e vedere una grossa area non costruita ricca di infrastrutture di mobilità per dire “è quella giusta”.

Poi occorre vedere se “giusta” lo è davvero.

Primo: se un terreno è già stato soggetto ad esproprio, la destinazione per cui è stato espropriato non può essere modificata. Tradotto: se ti ho espropriato per fare un ospedale, poi non posso farci una scuola. Figurarsi uno stadio privato.

Secondo: un terreno non è solo una forma geometrica declinata nello spazio. Occorre anche vedere cosa si può fare su quel terreno, quindi la sua destinazione d’uso e la sua capacità edificatoria.

Terzo: la proprietà. Devi vedere di chi è quel terreno e, semmai, sapere se il proprietario è disponibile a cederlo e in cambio di cosa.

Infine, le sue dimensioni geometriche. Lo stadio – solo lo stadio da circa 40mila posti a sedere con le sue opere “obbligatorie”, cioè parcheggi e verde pubblico – occupa una superficie minima di 150mila metri quadri. Minima minima.

Quindi, per decidere se un’area può andar bene, occorre controllare ogni singola particella catastale e vedere:

  1. La proprietà
  2. La destinazione d’uso
  3. I vincoli
  4. La capacità edificatoria 

Fatto questo lavoro, particella per particella, bisogna vedere se quelle libere – quindi non quelle di Ferrovie dello Stato dove c’è già un progetto, non quelle destinate all’Istat o all’Università, non quelle già espropriate per lo SDO – sono in numero, giustapposizione e dimensione adatte ad ospitare uno Stadio.

Dire, come fa Calenda, che ci sono “aspetti urbanistici da risolvere” vuol dire che, se questo esame è stato fatto, non ha dato gli esiti sperati.

Per cinque anni abbiamo avuto un Sindaco e un’Amministrazione che a fronte di problemi complessi proponeva soluzioni da tweet.
Da uno come Calenda, questo non è accettabile. 

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