“La rivincita passerà dalla comunali di Roma, Milano, Torino, Bologna e delle altre grandi città al voto”. Parola (del giorno dopo) di Matteo Salvini. Peccato però che questo passaggio è prima di tutto nelle mani di Nicola Zingaretti. Perché? Ecco. Per i paradossi che nascono quando la politica cede il passo alla comunicazione, Zingaretti risulta vincitore delle elezioni e Salvini lo sconfitto.
Spetta a Zingaretti ora giocare la palla e qualunque sua decisione ha immediati riflessi sulla corsa a Roma: la vittoria Pd alle regionali – ammesso che perdere una regione su quattro (senza contare l’Umbria e la Calabria) sia una vittoria – non risolve né i problemi interni del Pd né quelli del Governo.
Vero che gli altri cespuglietti della maggioranza in Parlamento sono a livello irrilevanza, ma il crollo dei 5Stelle, scomparsi dalla scena politica ovunque si sia votato, crea problemi di tenuta interna al Governo. E non è che in Regione Lazio Zingaretti se la passi poi tanto meglio: la maggioranza si regge sulla benevola stampella fornita dai 5Stelle e da un paio di consiglieri regionali transfughi del centrodestra. Solo che questa benevolenza ha prezzi politici sempre più alti. Inoltre, la lotta interna fra il vicepresidente della Giunta, Daniele Leodori, e l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, si fa giorno dopo giorno più aspra. La tentazione di mollare una Regione difficile da governare e che da almeno un biennio è praticamente condannata all’immobilismo c’è tutta. Anche perché, appunto, ora il Pd può comunque politicamente passare all’incasso: MEF, decreti sicurezza, ennesima nuova legge elettorale sono i temi sui quali tocca ai 5Stelle chinare la schiena. Insomma, sembra la tempesta perfetta perché Zingaretti lasci la Regione Lazio e entri nel Governo.
Per tante voci – specialmente Radio Pisana – che danno Zingaretti in uscita, altrettante – fonte i piani alti del Pd – se ne registrano contrarie: abbandonare la Regione significherebbe cancellare un blocco di potere e posti che da 15 anni “si accompagna” a Zingaretti. Inoltre, si destabilizzerebbero gli equilibri interni al Pd: Franceschini – che della segreteria Zingaretti è il maggior artefice e sponsor – dovrebbe rinunciare al ruolo di capo delegazione col Governo del partito se il segretario ne divenisse parte. Terzo: il resto degli equilibri interni finirebbe per saltare, vedasi il rapporto con Orlando. Inoltre, oggi Zingaretti è comunque in una posizione di forza cosa che gli consentirebbe anche di gestire la partita Campidoglio e quella Governo e 5Stelle dalla Pisana.In entrambi i casi, la decisione di Zingaretti se entrare nel Governo o meno ha degli effetti diretti anche sulla corsa a Roma.Primo: a sinistra per la corsa a Sindaco della Capitale i nomi non sono cambiati. David Sassoli, Paolo Gentiloni, Roberto Gualtieri, Enrico Letta sono “le prime scelte”. Fino a oggi tutti costoro hanno rifiutato. Ma fino a ieri Zingaretti sembrava pronto a essere rimosso e sostituito con Bonaccini. Oggi, no. È consolidato e potrebbe non essere facile né saggio rifiutarne le richieste. Secondo, se invece andasse al Governo, si aprirebbe una finestra di cinque mesi prima del voto: a meno che non intervenga un decreto del Ministero dell’Interno che accorpi eventuali Regionali con le Comunali di Roma ad aprile, la norma prevede che Zingaretti abbia 60 giorni di tempo per comunicare la propria scelta, se andare al Governo oppure restare alla Pisana. Dopo di che, ci sono 90 giorni di tempo per celebrare le elezioni. Per inciso: nel 2013, dopo le dimissioni anticipate della Polverini, si votò per le Regionali a febbraio (primo mandato Zingaretti) e ad aprile per il Campidoglio (elezione di Ignazio Marino).
Indipendentemente dall’accorpamento o meno, ecco dunque che per Salvini, la Meloni e Forza Italia il quadro cambia radicalmente se si vota anche per il Lazio oppure solo per il Comune. Anche a destra regnano incertezza e confusione: non è che non ci sia il nome, non c’è ancora chiara l’identikit politico del candidato. Chi lo vorrebbe della società civile, chi no. Chi con competenze manageriali, chi politiche. Doversi scontrare solo per il Campidoglio però ha un peso: significa muoversi per identificare un certo numero di nomi. Non c’è solo il candidato sindaco: c’è da trovare Assessori competenti, Consiglieri che siano meno improvvisati e improbabili di quelli offerti dai 5Stelle, gli alti dirigenti comunali (quelli dello spoil system, per intendersi) che conoscano il loro mestiere, manager delle società comunali in grado di recuperare il disastro lasciato dai grillini. Se però la corsa si fa su due tavoli, Regione e Comune, il problema raddoppia e le persone da trovare anche. Inoltre, c’è da risolvere l’annoso dilemma: fra Lega, Fratelli d’Italie e Forza Italia a chi spetta la scelta del candidato sindaco e a chi quella del candidato Governatore?