• domenica 28 Aprile 2024 15:00

Che sia Albano Laziale, Magliano Romano o Viterbo, l’escamotage trovato da Comune e Regione ritarda solo il rischio di vedere la città sommersa dai rifiuti: nessuna delle soluzioni identificata è strutturale. Ogni cassonetto in ogni strada della città è ormai trasformato in una piccola Malagrotta: siamo alla “discarica diffusa”. Ama a mala pena riesce a svuotare i secchioni che rimangono in bilico sui cumuli di rifiuti ammucchiati.
Albano può arrivare a 3 mesi, Crepacuore chiude a fine mese. Viterbo è agli sgoccioli. Magliano Romano è piccola. E comunque tutte queste soluzioni richiedono almeno un paio di settimane per andare a regime e intanto, come la cicala della favola, si bruciano spazi: sono tutti tamponi buoni, al più, per cercare di non scavalcare cumuli di rifiuti il giorno del voto per le comunali. Un voto sotto montagne di immondizia finirebbe per penalizzare la Raggi e i 5Stelle ma anche il Pd e Gualtieri.
Perché le responsabilità del caos – come ha salomonicamente detto lo stesso Ministero della Transizione ecologia – sono istituzionalmente divise fra la Regione e il Comune e, politicamente, fra il Pd e i grillini.
Il Piano regionale dei Rifiuti, varato esattamente un anno fa, è sbagliato nella sua concezione: inseguendo ancora i fantasmi di un mondo zero waste, vede, sinteticamente, il sistema regionale reggersi su un precario equilibrio basato su due pilastri: l’aumento della raccolta differenziata e le discariche. Per la Regione, che continua a inseguire una chimera come la differenziata salvifica, aumentando la differenziata diminuisce, ovviamente, l’indifferenziato e, quindi, l’impiantistica esistente, i TMB, il termovalorizzatore Acea di San Vittore, e le discariche esistenti sono sufficienti.
La realtà smentisce da anni questa previsione: ogni punto percentuale di aumento della differenziata, a Roma, costa non meno di 10 milioni di euro. Soldi che né Ama né il Comune hanno da spendere. Se non ci fosse il bonus Covid che lo Stato riconosce ad aziende e famiglie il costo della Tariffa Rifiuti (TaRi) aumenterebbe proporzionalmente all’aumento del costo del servizio romano passato in un anno da 755 milioni a 802. Il bonus Covid, però, non sarà eterno. E già il prossimo Sindaco potrebbe trovare la pesante eredità di Virginia Raggi e dei suoi: non solo nessun impianto costruito, non solo una differenziata che arretra, non solo un volume globale dei rifiuti che non diminuisce smentendo le previsioni del Sindaco, ma anche un futuro aumento della TaRi. 
Portare i rifiuti fuori Roma costa. E inquina. Una cosa la Raggi l’ha detta in modo corretto: “Malagrotta è stata chiusa senza che vi fosse un’alternativa”. Era il 2015 con Ignazio Marino.
Sembrava una sorta di vittoria. Di Pirro.
Non c’era un modello alternativo a Malagrotta.
E dall’epoca – quindi inclusa la stessa Virginia Raggi che dimentica di aver superato i 5 anni di governo cittadino – nulla è cambiato: l’unica soluzione è portare i rifiuti fuori Roma. Pagando tanto e dipendendo sempre di più dai buon uffici di altre Regioni. 
Esistono impianti che potrebbero essere utilizzati ma per farlo, visto che molti sono di proprietà di Manlio Cerroni, occorrerebbe un’iniezione di coraggio che né il Campidoglio targato M5S né la Regione targata Pd sembrano pronti a fare. Con una dose di lucido pragmatismo, aveva virato in questa direzione il primo assessore all’Ambiente della Giunta Raggi, Paola Muraro. Poco dopo rimossa. Da allora, il Campidoglio grillino ha segnato solo “no”.

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