Il terremoto politico alla fine è arrivato: i vertici del Cep si sono dimessi il 24 aprile scorso.
Parliamo del Consorzio Enti pubblici, il Cep appunto, che si occupa della riscossione dei tributi (Tari, Imu, rette scolastiche e via dicendo) per conto di 12 comuni dell’hinterland romano: Casape, Cave, Colonna, Gallicano nel Lazio, Genazzano, Palestrina, Percile, Poli, Rocca di Cave, Rocca Priora, Roiate e, infine, Zagarolo.
Il Consorzio è passato da un quadro economico in attivo nel 2016 – 45mila euro di attivo, patrimonio di 1,5 milioni di euro e commesse per 1,6 milioni di euro – a un pesante passivo, oltre 9 milioni di euro, dopo soli due anni. Causando a cascata buchi nei bilanci dei Comuni che i soldi dei tributi dovuti non li hanno mai visti.
Il caso era stato portato alla luce dalle denunce dei consiglieri comunali di Zagarolo di Lega e Fratelli d’Italia e da un esposto presentato dal senatore Emanuele Dessì.
In sostanza, da questi esposti, emergono affidamenti quanto meno criticabili: un paio di milioni di euro abbondanti per commesse affidate come “consulenze specialistiche” a società improbabili: stesse sedi, creazione a ridosso degli affidamenti ricevuti, capitali sociali irrisori (anche 100 euro).
A questo si era sommato lo scandalo dell’acquisto della sede del Cep, otto appartamenti di fronte la stazione di Zagarolo pagati in totale un milione e 750mila euro.
E proprio il sindaco di Zagarolo, il 24 aprile all’Assemblea dei Soci, apre il fuoco sul management di Cep (ecco il verbale integrale della seduta dell’Assemblea dei Soci dl CEP): “Accertare la reale portata della gravissima crisi di liquidità che ha dominato sia il 2019 che il 2020”; “attuare un deciso cambio della governance societaria”; “nel corso del 2020 la società non ha fornito riscontri rispetto agli obiettivi assegnati”; “nessuna rendicontazione periodica sull’andamento delle attività è stata fatta pervenire”; “i dati messi a disposizione non mostrano un miglioramento dei conti rispetto al 2019 e dalle proiezioni 2020 sono state riscontrate criticità tali da far presumere il permanere del deterioramento dell’equilibrio economico anche negli esercizi futuri”. Dichiarazioni approvate all’unanimità che certificano il disastro del Cep.
Ma l’intricata rete di rapporti politici rimane: l’amministratore unico di Cep, Gaetano Bartoli, non è solo colui che ha avviato il procedimento di acquisto della sede. Ma è anche lo stesso che lavora nella stessa banca – Credito cooperativo – che ha deliberato il mutuo da 950mila euro per questa acquisizione. E lavora in Regione: prima (l’assunzione del 2019) nello staff del vicepresidente della Regione, Daniele Leodori, e poi (l’assunzione del 2020) nell’Ufficio di Gabinetto di Zingaretti.
Insieme a lui lavora in Regione anche il figlio, Riccardo Bartoli. Che, prima di tutto, è (la determina di nomina) vicesindaco e assessore al Bilancio del Comune di Colonna (di cui è stato Sindaco il padre, Gaetano, dal 1999 al 2009). E come assessore al Bilancio dà il via libera ai bilanci Cep presentati dal padre. E che, come il padre, lavora all’Ufficio di Gabinetto di Nicola Zingaretti in Regione (l’assunzione di Bartoli figlio in Regione) dopo essere stato nella segreteria dell’Assessore al Commercio.
Intanto nella Lega – che con la consigliera regionale Laura Corrotti ha denunciato in tv e sui giornali la situazione economica e gestionale del Consorzio – scoppia il caso Antonio Proietti. Il Sindaco di Roiate, in una intervista rilasciata a una tv web, difende l’operato dei vertici Cep. È l’unico primo cittadino ad essersi esposto pubblicamente. Proietti però anche capogruppo del Carroccio in Città Metropolitana e coordinatore provinciale del settore Est. E il fatto che abbia difeso un management così vicino ai vertici regionali del Pd non è affatto piaciuto al partito di Salvini che ora potrebbe precluderne la possibile candidatura alla Pisana in quota Politi, capogruppo in Assemblea Capitolina.