• venerdì 4 Ottobre 2024 19:55

Retroscena e “non detto” di un pasticcio alla romana

Le metaforiche pistole ora sono non solo cariche ma sono state proprio depositate sul tavolo. In questo poker che si gioca sui nervi più che sulla bravura degli avvocati, la posta è politica.
In Campidoglio versione Gualtieri ci si è affrettati a diffondere una nota buona per tranquillizzare le piazze: sì la causa c’è, sì c’è la maxi richiesta di risarcimento danni ma, come dicevano Aldo Giovanni e Giacomo, “niente di serio”.
Raggi, Virginia
Virginia Raggi, ex sindaco di Roma

La comunicazione capitolina vira sul pompiere: “La memoria difensiva presentata dall’Avvocatura capitolina in risposta al ricorso promosso dalle Società Eurnova e Cpi per l’annullamento della delibera votata dal Consiglio comunale nella scorsa consiliatura (che ha ritirato la pubblica utilità del progetto) è un atto dovuto. L’obiettivo della memoria è respingere il ricorso di Eurnova e Cpi anche in considerazione delle astronomiche somme risarcitorie richieste dalle due società nei confronti dell’amministrazione capitolina ed è dunque a tutela di tutta la cittadinanza. Le caratteristiche della memoria, incluso il parziale coinvolgimento dell’As Roma, sono la diretta conseguenza della delibera consiliare del 21 luglio 2021”.

Il sindaco, Roberto Gualtieri
Fra le righe: è colpa della Raggi. E su questo c’è a prescindere pochissimo da discutere.
Ripercorrere quanto peso abbia avuto il quinquennio pentastellato sulla vicenda – Berdini, le modifiche al progetto, le eterne due diligence, la fregola repentina per cancellare tutto quando ci sono decine di altre situazioni che languiscono per decenni nel silenzio di Sindaci e funzionari – è ormai uno stucchevole esercizio di retorica.
Atto dovuto? Certo, stavano per scadere i termini (il 26 dicembre) e se non si presentava la memoria si sarebbe contraddetta la delibera di revoca (“di dare mandato ai competenti Uffici capitolini, di concerto con l’Avvocatura Capitolina, di avviare i più opportuni procedimenti volti alla valutazione e quantificazione di ogni eventuale pregiudizio in danno dell’Amministrazione capitolina”) e il Campidoglio sarebbe andato allo scontro a fuoco senza neanche le mutande.
Quindi, non tanto per tutelare l’ex Sindaco e i suoi assessori, ma i funzionari comunali (che rimangono lì indipendentemente dai Sindaci) non avevano nessuna voglia di finire polpetta per la Corte dei Conti senza nemmeno lottare.
Ma anche se dovuto è un atto. Pesante. Perché apre formalmente una crisi che è ben più che incerta.
Diciamo le cose come stanno: nessuna delle parti in causa – Eurnova, As Roma e Comune – ha le mani pulite e la coscienza a posto. Ciascuno di loro, andando in giudizio, rischia. Ed è un rischio pesante.
Il Comune rischia di vedersi ipotecato un pezzo pesante dei bilanci futuri, già striminziti di loro. E chissene frega se la colpa è della Raggi e del disastro quinquennale che ha combinato. Mediaticamente l’eventuale sconfitta si abbatterà comunque su Gualtieri e sul Pd.
Eurnova che ha incassato da Vitek una cinquantina di milioni per Tor di Valle con cui ha praticamente pareggiato i debiti o quasi, se perde, rischia di naufragare definitivamente.
As Roma è l’unica società con un patrimonio su cui rifarsi e, in caso di sconfitta, rischia di essere “aggredita” dal Comune che potrebbe rifarsi sull’unico elemento solvibile.
Poi c’è Vitek. La posizione del Campidoglio su Vitek fa più che ridere: prima chiede al Tar di disconoscerne il diritto a ricorrere in quanto non coinvolto del progetto, poi però chiede anche a Vitek i danni e nella stessa memoria difensiva presentata dal Comune si riferisce che Vitek era della partita, eccome se lo era, cosa testimoniata, per altro, anche dalla partecipazione attiva degli emissari della CPI a svariate sedute del Gruppo di Lavoro sul testo della Convenzione.
Ma Vitek è uno degli elementi “pesanti” della vicenda. Non solo ha una liquidità sufficiente a fare un paio di guerre ma, acquisendo i beni una volta appartenuti alle società della galassia Parnasi, ha in mano una cambiale in bianco: 2 milioni di metri cubi già deliberati, con i permessi a costruire già rilasciati e i cantieri, volendo, pronti ad aprire anche domani.
Cosa che ne fa una potenza economica e occupazionale con cui il Campidoglio deve fare i conti. E deve farli in fretta. Non è esattamente un mistero che, per l’attuale compagine che governa il Campidoglio, Vitek non sia esattamente un amico gradito con cui baloccarsi. Si teme il suo potere fattuale e di condizionamento: la vicenda dell’apertura del centro commerciale Maximo è stata l’antipasto di questo potere.
Questo è il tavolo di questa partita a poker in cui lo Stadio è uno dei beni del piatto. Quello che c’è in gioco è più la capacità di controllare l’assetto della città per il prossimo immediato futuro.
La causa, quindi, per ora serve a questo. Come raccontano a microfoni spenti i funzionari capitolini, ora la partita è quella di mettersi seduti a un tavolino e trovare una soluzione ragionevole e ragionata che accontenti/scontenti tutti.
Perché se si dovesse arrivare in tribunale – e il giudizio amministrativo è solo il primo passo cui seguirebbe la vera mazzata, cioè la causa civile che si giocherebbe su cifre iperboliche a cui petto i 300 circa milioni contesi oggi parrebbero solo la posta di invito per giocare – a parte i tempi e gli appelli, nessuno dei giocatori ha la matematica certezza che si alzerà a vincitore assoluto e con le tasche piene dei soldi del piatto. 

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